Associazione Fornitori Ospedalieri Regione Puglia

Sicurezza del paziente a casa come in ospedale

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Un problema nuovo che si pone di fronte a noi è l’uscita del paziente dall’ambiente protetto, quale è l’ospedale. Accrescere il bagaglio culturale e formativo, sotto l’aspetto giuridico, delle professioni sanitarie: la responsabilità dell’ingegnere clinico

di Umberto Nocco *

(Panorama sanità) – Il tema del rischio associato alle tecnologie è da sempre tra le priorità dell’Ingegnere Clinico. Storicamente infatti, soprattutto negli USA, la figura dell’Ingegnere Clinico era sostanzialmente legata alle problematiche di sicurezza (elettrica) delle apparecchiature elettromedicali. Concentrare l’attenzione sulla tecnologia non è però risolutivo. Sappiamo infatti che ogni dispositivo è progettato con una logica della massima riduzione del rischio ad esso legato senza però rinunciare all’efficacia del dispositivo stesso che diversamente sarebbe inutile. Si parla quindi di minimizzazione del rischio, non di eliminazione. L’attenzione posta a questo specifico tema già dalla Direttiva 93/42 è stata ulteriormente ribadita dal Regolamento Rdm 745/2017: minimizzazione del rischio per pazienti e operatori da una parte e efficacia del dispositivo dall’altra devono essere i due cardini su cui si fonda la progettazione di un Dm e nessuno dei due deve essere dimenticato o essere prevalente sull’altro. Risulta pertanto evidente che, laddove non è possibile minimizzare il rischio con accorgimenti tecnici – pena la non efficacia del dispositivo – devono subentrare modalità di utilizzo, buone prassi, ecc. In altre parole: soluzioni organizzative.

Ogni Ingegnere Clinico, nelle varie fasi del ciclo di vita di una tecnologia, sia essa la valutazione strategica, la pianificazione, la conduzione non può e non deve dimenticare questo aspetto ma attribuirgli il giusto peso. Questa attribuzione di peso è certamente una parte complicata del lavoro, perché è evidente che – per svariati motivi tutti assolutamente ragionevoli – la richiesta di “sicurezza” (spesso erroneamente confusa con la assenza di rischio) è elevatissima, sia da parte degli operatori che dei pazienti. I primi chiedono che la tecnologia sia sicura (ma poi cosa vuol dire?), i secondi rappresentano spesso una necessità di eliminazione del rischio all’interno dell’Ospedale molto superiore a quanto richiedono a sé stessi e alla tecnologia in condizioni normali. Nel tempo, soprattutto nei confronti degli operatori, questo approccio è stato in qualche modo controllato e gestito soprattutto attraverso una corretta formazione.

 

*Presidente Associazione Italiana Ingegneri Clinici, AIIC

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