Associazione Fornitori Ospedalieri Regione Puglia

Responsabilità medica, perdita di chance inammissibile nella comparsa conclusionale

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In un procedimento per responsabilità medica, la domanda di risarcimento del danno per perdita di chance se proposta nella comparsa conclusionale in aggiunta o in via subordinata alla domanda principale di risarcimento del danno da morte non è ammissibile. Lo ha stabilito il Tribunale di Palermo, con la sentenza 22 agosto 2016 n. 4147, rigettando la richiesta dei parenti in quanto a tutti gli effetti essa integra una nuova domanda.

Il caso era quello di una donna di 72 anni che dieci anni prima aveva subito un intervento chirurgico di protesi valvolare aortica e mitralica e di applicazione di protesi all’aorta discendente toracica, sottoposta a terapia a mezzo di anticoagulanti, portata al pronto soccorso a seguito di acuti dolori al torace ma dimessa senza diagnosi né prognosi con il solo «consiglio» di prendere un antidolorifico. Poiché nel giro di poco ore il dolore si riacutizzò la donna venne ricondotta dai figli, attuali ricorrenti contro il medico e la struttura ospedaliera, al pronto soccorso dove un diverso sanitario dispose una Tac d’urgenza che rivelò la dissecazione dell’aorta toracica cosicché la donna venne trasferita in una struttura specializzata in cardiochirurgia ma di lì a poco decedeva per “shock ipovolemico” da rottura di aneurisma. Gli eredi ritenuto che le ore inutilmente trascorse tra il primo ed il secondo ricovero fossero state decisive nel determinare l’infausto decorso chiesero il risarcimento del danno.

L’azienda sostenne però che la domanda di risarcimento per perdita di chance era inammissibile in quanto tardivamente proposta. Posizione condivisa dal Tribunale secondo cui «nella citazione introduttiva l’unico danno richiesto dagli attori attiene al risarcimento del danno da morte del congiunto senza riferimento alcuno al danno da perdita di chance domandato per la prima volta in comparsa conclusionale». «Trattandosi di due tipologie di danno ben distinguibili – argomenta la sentenza – la nuova domanda degli attori va quindi trattata non alla stregua di una semplice specificazione della originaria domanda, ma di una vera e propria domanda del tutto nuova e come tale inammissibile».
Né cambia le cose, prosegue il Tribunale, la recente sentenza delle Sezioni unite (12310/2015) secondo cui «la modificazione della domanda ammessa a norma dell’articolo 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi)».
Per il Tribunale infatti «l’intervento delle SS.UU. vale unicamente per le cd. domande nuove proposte per la prima volta con le memorie ex articolo 183 c.p.c. 6 comma n. 1», vale a dire quelle per cui è concesso un apposito termine. Infatti, prosegue la sentenza, «solo per esse può dirsi assente il rischio che la controparte possa essere “sorpresa” dalla modifica e vedersi mortificate le proprie potenzialità difensive». In questi casi infatti la controparte «non può essere colta impreparata» anche perché le viene concesso «un congruo termine per potersi difendere e controdedurre». Possibilità invece «irrimediabilmente preclusa se la parte attrice introduce delle modifiche – sia pure in riferimento e connessione alla medesima e originaria vicenda sostanziale – per la prima volta in comparsa conclusionale».
Nel merito poi la Ctu non ha comunque rinvenuto il nesso causale tra i pur «significativi profili di imprudenza» nella condotta «superficiale» della prima dottoressa, che avrebbe dovuto disporre un approfondimento diagnostico, e la morte della paziente, considerata la gravità della patologia di cui già soffriva, la difficoltà dell’intervento, le condizioni in cui versava (presumibilmente già al primo accesso) e l’età avanzata.

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