Associazione Fornitori Ospedalieri Regione Puglia

Nomine e politica, corsa a ostacoli per i nuovi dg in sanità

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Giunta emiliano

Dal 18 settembre è in vigore quella che il Governo ha definito una vera e propria rivoluzione, cioè l’uscita della politica dalle nomine nelle Asl. Ovviamente l’affermazione è alquanto ridondante, non tanto per la retorica insita in tutti i pronunciamenti della politica, ma perché tecnicamente tale rivoluzione tarderà parecchio a essere realizzata.

Dal 18 settembre è in vigore quella che il Governo ha definito una vera e propria rivoluzione, cioè l’uscita della politica dalle nomine nelle Asl. Ovviamente l’affermazione è alquanto ridondante, non tanto per la retorica insita in tutti i pronunciamenti della politica, ma perché tecnicamente tale rivoluzione tarderà parecchio a essere realizzata.

Vediamo perché. Il decreto legislativo n. 171 del 4 agosto 2016 entra in vigore, come detto, il 18 settembre. Già nella tempistica qualcosa però non quadra del tutto: la deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri è del 20 gennaio, il parere della Conferenza unificata è del 3 marzo, quello del Consiglio di Stato è del 18 aprile, la deliberazione definitiva del Consiglio dei ministri del 28 luglio e la promulgazione di Mattarella data 4 agosto.

Però in Gazzetta Ufficiale va soltanto il 3 settembre e 30 giorni per un atto dovuto, normalmente veloce, sembrano davvero troppi. Basta in tal senso confrontare i tempi di pubblicazione dei cinque precedenti decreti delegati della legge Madia: si va dai 6 giorni del decreto 10/2016 ai 13 giorni dei decreti 126 e 127. Quale sia stata la ragione di questo prolungato intervallo non si sa ma, nel frattempo, le Regioni Liguria e Campania hanno fatto le nomine nelle aziende sanitarie e la Sardegna ha unificato tutte le Asl e avrebbe nominato il nuovo direttore generale se non fossero insorti alcuni problemi.

Il ritardo sarà pure dovuto a cause naturali ma è indubbio che ciò ha consentito in alcuni casi di prendere l’ultimo autobus prima della ricordata rivoluzione.

In ogni caso – alla luce degli step del decreto e dei non pochi atti di normazione secondaria previsti – si può affermare che il primo direttore generale nominato con la nuova procedura si potrà vedere all’incirca tra un anno.

E nel primo elenco nazionale non troveremo – forse – qualcuno che oggi è direttore generale ma certamente non troveremo nuovi soggetti che potrebbero rinvigorire lo skill delle aziende in quanto per iscriversi occorre ora essere preventivamente in possesso dell’attestato di formazione che eventuali manager interessati al bando otterranno plausibilmente fra almeno due anni. In tal senso i quasi 12.000 possibili candidati ipotizzati nella Relazione tecnica sembrano irreali.

Il parere del Consiglio di Stato è rilasciato da una Commissione speciale, presieduta da Franco Frattini e appositamente costituita per la fase consultiva su tutti i decreti delegati ex lege 124/2015. Il parere è molto dettagliato (consta di ben 62 pagine) e contiene 25 segnalazioni o suggerimenti per il Governo; alcuni di essi riguardano gli emendamenti richiesti dalla Conferenza unificata che risultano essere 7.

I due organismi si sono ovviamente attenuti ad aspetti diversi: la Conferenza ha puntato su modifiche pragmatiche e di natura politica, tutte finalizzate a salvaguardare l’autonomia regionale, mentre il Consiglio di Stato ha volato più alto rimanendo in termini di valutazioni squisitamente giuridiche.
Franco Frattini
Il risultato finale è l’accoglimento di 4 emendamenti e il rigetto di 3 per la Conferenza mentre tra le osservazioni del Consiglio di Stato appaiono recepiti soltanto 9 punti, tra i quali – per capirne il livello – si annovera anche il cambiamento del termine «istituzione» in «costituzione» (articolo 5 ma, allora, doveva essere cambiato anche nell’articolo 9).

È pur vero che molte segnalazioni – come visto – erano puramente formali ma, ad esempio, la critica alla tecnica della “novellazione a pettine” con l’invito a redigere un testo unico compilativo merita senz’altro accoglimento. Anche il limite cognitivo dovuto alla mancata consultazione degli operatori appare un difetto del decreto, circostanza sottolineata anche da Fiaso e Federsanità.

Tra le più sostanziali modifiche indotte dall’organo amministrativo possiamo trovare: la previsione di punteggi predefiniti che attenuino la discrezionalità (demandata a un Dm dall’articolo 1, comma 6) e la specificazione di cosa consiste la “garanzia” dei Lea (articolo 2, comma 3, lettera b).

Invece, ragioni di natura politica hanno evidentemente fatto respingere le critiche a quanto voluto dalle Regioni: il punteggio non emulativo (articolo 1, comma 7), un componente della Commissione nominato dalla Regione stessa (articolo 2, comma 1), l’applicabilità alle Regioni a Statuto speciale (articolo 7).

La novità più rilevante è la prima: «il punteggio è assegnato ai fini dell’inserimento del candidato nell’elenco nazionale» sottintendendo ovviamente che le Regioni (o, meglio, le Commissioni regionali) non devono farsi influenzare dai punteggi di inserimento che non sono, dunque, emulativi.

Un sostanziale compromesso – oggettivamente inevitabile – è scaturito in relazione alla rosa dei candidati da proporre al Presidente della Regione. Il testo originario parlava di una terna, le Regioni volevano una “ampia” rosa, il decreto definitivo prevede «rosa di candidati non inferiore a tre e non superiore a cinque»; c’è solo da ricordare come la delega della legge 124/2015 si riferiva, in effetti, ad una rosa.

Rispetto al testo licenziato a gennaio non ci sono altre grandi modifiche, oltre a quelle già segnalate e scaturite all’esito dei due pareri. Sorvolando su aspetti del tutto formali (la parola «membri» inserita nel terzo comma dell’articolo 1 o l’eliminazione delle Province autonome nell’articolo 2, su richiesta regionale) si possono segnalare le seguenti integrazioni.

Nell’articolo 1, comma 2, si afferma che «l’iscrizione nell’elenco è valida per quattro anni»; nel comma 3, alla lettera b), è stato opportunamente cambiata la congiunzione «e» con un «o» in relazione alla gestione delle risorse finanziarie; alla lettera c) si dice che la formazione deve essere tale «da assicurare un più elevato livello»; al comma 8 viene fatto riferimento ad obblighi di trasparenza non più generici ma definiti normativamente.

Nell’articolo 2 si precisa che l’avviso pubblico va pubblicato sul sito internet della Regione. Nell’articolo 3 troviamo la prescrizione del mancato conflitto di interessi per i componenti della commissione.

Restano le perplessità rispetto ad alcuni importanti aspetti. Il più rilevante riguarda la condizione di procedibilità dovuta all’adozione di ben 5 atti di normazione secondaria, uno in più rispetto a gennaio (due decreti ministeriali e tre Accordi in Stato-Regioni) che dovranno essere rispettosi dei termini stabiliti a scapito della credibilità di tutto il decreto.

Inoltre, la seconda parte del “procedimento bifasico” appare ancora nebulosa perché la commissione regionale non è definita nel numero, in disparte dalla possibilità di proporre nominativi che nell’elenco hanno ottenuto 75 punti.

Poi c’è la questione dell’età massima per inoltrare domanda di iscrizione nell’elenco. Vengono confermati i 65 anni ma non è stato considerato il vincolo di cui all’articolo 6, comma 1, della legge 114/2014.

Con un esempio si capirà meglio. Poniamo che un soggetto in possesso di tutti i requisiti e di 63 anni di età sia già in godimento della pensione anticipata.

Ebbene secondo il decreto 171 può fare domanda ma rimarrebbe violato il ricordato articolo 6 che vieta di conferire incarichi dirigenziali a un soggetto in quiescenza. La interpretazione fornita dalla Funzione pubblica con la circolare n. 6/2014, a mio personale giudizio, non è da condividere in quanto il significato della locuzione «collocati in quiescenza» è quello di «percepire una pensione» e non di aver raggiunto il limite massimo di età ordina mentale.

Tuttavia in termini sostanziali la più rilevante differenza concerne una norma che non era stata osservata da nessuno, a parte dal sottoscritto nell’articolo pubblicato sul n. 4 dello scorso febbraio della Rivista.

Si tratta dello spostamento della norma di “estensione” dell’articolato alle aziende ospedaliero universitarie. Prima era l’articolo 3 a prevedere laconicamente che «le disposizioni degli articoli 1 e 2 si applicano anche» a quelle aziende, con la conseguenza che tutto il resto del decreto – comprese quindi le procedure di nomina dei direttori coadiuvanti – non si sarebbero applicate alle aziende ospedaliero universitarie.

Ora la norma è collocata nell’articolo 6 e si riferisce a tutto l’articolato, come era scontato ed evidente: se si sia trattato di un innocente refuso o di un tentativo di sottile spartizione di potere non è dato sapere ma resta sconcertante che nessuno se ne fosse accorto prima.

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