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Inps, Boeri, avanti con la flessibilità

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“Sarebbe paradossale che il confronto in atto fra Governo e sindacati sulla flessibilità in uscita si concludesse ancora una volta con interventi estemporanei e parziali”. E’ il presidente Inps, Tito Boeri, a concludere così una lunga riflessione sulle cause e conseguenze di tutti gli interventi di riforma delle pensioni dal ’96 in poi e della riforma Fornero che con il suo brusco innalzamento dell’età di pensionamento ha creato “problemi sociali rilevanti” e a ribadire come “perpetrare il ritardo nel trovare soluzioni sostenibili rischi di alimentare ancora il ricorso a soluzioni inique e onerose, ovvero a soluzioni estemporanee e scarsamente efficaci”. (video)

Serve invece, ribadisce, discutere di uscita flessibile “definendo opzioni che siano al contempo chiare a chi dovrà scegliere e neutrali rispetto al debito pensionistico”. Per questo, “è molto positivo che il governo e le parti sociali siano in queste settimane al lavoro per individuare i possibili correttivi”, aggiunge. Certo, le misure che si annunciano “non sono prive di una certa complessità”, ed è proprio per questo che Boeri chiede, rivolto alla politica e ai sindacati, una sostanziale chiarezza e trasparenza degli interventi messi a punto.

“Non si può negare che rate ventennali di ammortamento di un prestito pensionistico costituiscano una riduzione pressoché permanente della pensione futura. Né si può negare che, continuando a lavorare, il contribuente avrebbe potuto accumulare un più alto montante contributivo e, dunque, il diritto ad una pensione più alta”. Perchè l’obiettivo di fondo della flessibilità in uscita, ammonisce ancora Boeri, “non è di spingere più persone possibile ad uscire dal mercato del lavoro” ma di “garantire maggiore libertà di scelta consapevole senza aumentare il debito pensionistico e senza creare generazioni di pensionati poveri “.

Alcune forme di flessibilità sostenibile, d’altra parte, per Boeri, “sono alla nostra portata” e darebbero risposte “sia a coloro che vogliono uscire dal mercato del lavoro, pur consapevoli che una scelta anticipata ridurrebbe per sempre il loro trattamento pensionistico sia a coloro che devono entrare nel mercato del lavoro”. Un sistema previdenziale flessibile, insiste, “favorirebbe il turnover tra vecchie e nuove generazioni e darebbe impulso ad un mercato del lavoro asfittico per effetto di una crisi economica dalla quale si fa fatica ad uscire definitivamente”.

La maggiore libertà di scelta, infatti, aggiunge il presidente Inps, “può anch’essa contribuire ad alleggerire il peso che oggi grava sulla “generazione sandwich”. E questo su un doppio versante: da una parte può permettere a molte persone a fine carriera di dedicare più tempo alla loro famiglia; dall’altro può facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani rendendoli indipendenti prima.

Il Jobs Act del governo Renzi ha funzionato e il 2015 è stato un anno di grande cambiamento nelle modalità d’ingresso dei giovani nel nostro mercato del lavoro: il numero dei contratti a tempo indeterminato è aumentato del 62% e addirittura del 76% per gli under 30 anni così come la percentuale di occupati con contratti a tempo o stagionali, tra i giovani, è scesa dal 37 al 33%. Boeri sintetizza i dati sull’occupazione seguiti alla riforma sul mercato del lavoro fugando anche i timori, espressi a più ripresa dai sindacati, che la crescita delle assunzioni fosse in qualche modo ‘drogata’ dalla decontribuzione prevista contestualmente con la legge di stabilità e che lo stop all’articolo 18 innescasse una ondata di licenziamenti allo scadere dei tre anni di sgravi contributivi.

“Non vi è dubbio che l’esonero contributivo triennale abbia giocato un ruolo cruciale nel cambiare la natura delle assunzioni” dice ma a beneficiare del provvedimento nel 2015 sono state circa un terzo delle imprese con dipendenti. E il calo delle assunzioni seguito al “grande balzo’ dello scorso anno, annota ancora Boeri, “non è stato tale da riportarci al numero di contratti a tempo indeterminato precedente il 2015”. E’ sta qui la dimostrazione che l’esonero contributivo non ha alterato il meccanismo del mercato: “al netto del calo fisiologico di inizio 2016, il numero di contratti a tempo indeterminato è aumentato di più di mezzo milione nel 2015. E a partire da marzo 2016 il saldo mese per mese di assunzioni e cessazioni in questi contratti sta ricalcando le dinamiche degli anni precedenti al 2015 per stabilizzarsi su questi livelli più alti”. Non solo.

I numeri sembrano derubricare per Boeri anche un’altra critica, quella secondo cui il Jobs act avrebbe portato quasi eclusivamente ad una trasformazione di contratti non a nuove assunzioni: ad essere ‘trasformati’ in contratti stabili, invece, solo il 40% di lavoratori precedentemente occupati a tempo determinato. I dati inoltre non sembrano supportare neppure l’accusa per cui l’esonero contributivo avrebbe di fatto agevolato un sostanziale turn over tra lavoratori ‘vecchi’, più costosi, e nuovi, meno costosi per l’esonero contributivo: “si può stimare che quasi l’80% dei rapporti esonerati si è verificato in presenza di una crescita dimensionale dell’impresa.

E i dati Inps smentiscono anche i timori legati alla riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori secondo cui il superamento della cosiddetta “reintegra” avrebbe aumentato i licenziamenti. “Non sembra essere stato così. L’incidenza dei licenziamenti nel 2015 è diminuita del 12% rispetto all’anno precedente, molto di più di quanto ci si sarebbe potuto aspettare alla luce del miglioramento del quadro congiunturale (ad esempio nel 2010 il tasso di licenziamento era diminuito del 3% rispetto al 2009, nonostante la ripresa quell’anno fosse stata più accentuata)”, sintezza ancora Boeri che conclude: “il contratto a tutele crescenti non è fatto per licenziare, ma per stabilizzare l’impiego, incentivando investimenti in capitale umano”.

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