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Def, con l’Europa una partita da 7,7 miliardi

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Vale 7,7 miliardi di euro l’indebitamento netto aggiuntivo che il governo si appresta a “chiedere” al Parlamento e all’Europa in vista della prossima legge di bilancio.

La cifra, vicina alle attese, è messa nero su bianco nella relazione al Parlamento pubblicata ieri dal ministero dell’Economia, cioè sul documento che viene inviato alle Camere per chiedere l’ok, a maggioranza assoluta, necessario ad avviare ufficialmente la trattativa con l’Europa.

Il via libera del Parlamento aprirebbe la partita sullo 0,4% aggiuntivo legato all’esigenza di gestire le emergenze sisma e migranti, che porterebbe al 2,4% il rapporto fra deficit e Pil nel 2017.

Questo 0,4% in più, spiega il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, rappresenta «un margine entro il quale ricomprendere le spese necessarie», ma per capire quanto di questo margine dovrà essere utilizzato per sisma e migranti «dobbiamo ancora fare i conti completi».

Ma siccome la stessa nota di aggiornamento certifica che senza interventi il deficit dell’anno prossimo si fermerebbe all’1,6%, lo spazio di manovra ulteriore da mettere in campo arriva nel complesso vicino ai 14 miliardi.

Pier Carlo Padoan

L’indebitamento
Il confronto con la Ue non si annuncia però semplice, e per capirlo bisogna rimettere in fila i miliardi di indebitamento in cui si traduce questo tira e molla sui decimali. In gioco c’è prima di tutto lo 0,2% (3,2 miliardi) che serve per far passare dall’1,8 “concordato” a suo tempo al 2% il rapporto deficit/Pil di partenza, e motivato con la frenata dell’economia peggiore del previsto anche per colpa dell’effetto Brexit (stimato nello 0,5%-1% di Pil nel 2016 e 2017).

Lo 0,4% da ottenere in Europa è aggiuntivo, e motivato per metà dal fenomeno migranti e per metà dal sisma che secondo la relazione «attesta l’esigenza di porre mano a un piano organico di messa in sicurezza del territorio nazionale».

Proprio questo passaggio logico non sembra scontato in Europa, tanto più che le “concessioni” ottenute ad aprile si basavano sull’impegno a centrare gli obiettivi di consolidamento del 2017, che ora vengono rinviati.

Accanto all’aumento del deficit, il termometro più importante da questo punto di vista è quello dell’indebitamento netto strutturale, cioè al netto di una tantum ed effetti del ciclo, che la nota di aggiornamento conferma all’1,2% anche per il prossimo anno.

La discesa, invece, dovrebbe avviarsi nel 2018, con una manovra che nonostante l’anno elettorale dovrà rivelarsi in grado di abbattere l’indebitamento di cinque decimali (portandolo allo 0,7%) per confermare un sostanziale pareggio di bilancio (-0,2%) a partire dal 2019.

Vista la congiuntura frenata di questi mesi da vari fattori, tra cui l’effetto Brexit che secondo la Nota taglia la crescita dello 0,5-1% nel 2016 e 2017, secondo la relazione firmata da Renzi e Padoan «una correzione del deficit strutturale nel 2017 sarebbe controproducente».

In Parlamento
La partita parlamentare è destinata ad accendersi subito: la Nota sarà all’esame di Montecitorio l’11 ottobre, ma già lunedì saranno avviate le audizioni delle commissioni Bilancio di Camera e Senato, che ascolteranno prima di tutto l’Ufficio parlamentare di bilancio chiamato a “validare” il quadro programmatico dopo aver dato il via libera al tendenziale 2016-2017 esprimendo però più di una perplessità sui due anni seguenti. Dall’incrocio di queste cifre dipenderanno ovviamente gli spazi che la manovra potrà utilizzare per le misure da mettere in campo il prossimo anno.

Tra queste c’è anche il rinnovo dei contratti del pubblico impiego: nella nota di aggiornamento arriva una forte limatura dell’Ipca, l’indice che dovrebbe agganciare i contratti pubblici alla dinamica dei prezzi e che, con la frenata dell’inflazione, passa per il 2016-2018 dal 3,9 al 2,7 per cento.

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