Associazione Fornitori Ospedalieri Regione Puglia

Cristiana Cori, dopo tre generazioni potremmo chiudere la nostra impresa

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Vivilasanità – A colloquio con Cristiana Cori, Presidente AFORM (Associazione Fornitori Ospedalieri Regione Marche)

 

Siamo molto più preoccupati oggi rispetto a gennaio 2023

 

Dopo tre generazioni potremmo chiudere la nostra impresa

Anche le Piccole e Medie Imprese delle Marche vivono una fase di fortissima criticità a poche settimane dal 31 Luglio 2023. I fornitori ospedalieri della Regione Marche avrebbero dovuto restituire 292 milioni e 197 mila euro per il payback dispositivi medici relativo alle annualità 2015-2016-2017e 2018. Secondo quanto previsto dal decreto bolletta, con lo sconto di circa il 50%, le aziende che dovranno restituire circa 136 milioni e 514mila euro da ripartire tra 1500 imprese fornitrici della stessa regione. La regione Marche è tra le regioni italiane più colpite dal payback. L’AFORM (Associazione Fornitori Ospedalieri Regione Marche) d’intesa con Confcommercio è da mesi impegnata a difendere il sistema produttivo delle piccole e medie imprese del territorio marchigiano per salvaguardare sia le stesse imprese che i livelli occupazionali. Una vera e propria crociata contro una legge iniqua, vessatoria, ingiusta che genera allarmismo tra tutte le imprese del comparto.

La redazione di Vivilasanità ha intervistato la Presidente dell’AFORM Cristiana Cori per analizzare la criticità e soprattutto comprendere quali saranno le ricadute sul tessuto produttivo sia della Regione Marche che sulle imprese della sanità.

 

Agli inizi d’agosto quando fu applicato concretamente il payback, quale fu la prima vostra reazione?

“All’inizio pensavamo che si applicasse il payback soltanto per le aziende produttrici di dispositivi medici così come era avvenuto per i farmaci, non si immaginava minimamente che potesse colpire le nostre imprese. Nei primi giorni di agosto, mi chiamarono e mi invitarono a partecipare ad una call con un pool di avvocati, in cui si sarebbe parlato del decreto attuativo presentato dal Governo Draghi. Partecipai a quell’incontro e da quel momento si è aperto un mondo che non mi sarei mai aspettato, che potesse essere applicata una norma iniqua e che metteva in difficoltà le nostre imprese. All’inizio mostrai dubbi e perplessità, perché non pensavo che quella norma potesse davvero essere stata resa operativa dai nostri governanti, non riuscivo a crederci. E pensavo che forse si erano sbagliati. Contattai gli altri colleghi fornitori e i nostri partner commerciali e la realtà purtroppo che sbatteva sotto i nostri occhi increduli, fu davvero quella dell’applicazione del payback ai dispositivi medici. Si consideri che la mia è un’azienda che è sul mercato da tre generazioni. Mio nonno forniva gli ospedali con forniture rivolte soprattutto ad enti ecclesiastici. La nostra un’azienda è di tipo familiare e mai nessuno della nostra famiglia avrebbe immaginato, che dopo decenni di attività, ci saremmo trovati in una situazione di forte criticità con il rischio, dopo tre generazioni, di chiudere la nostra impresa”.

 

Che impatto finanziario ha avuto la sua azienda rispetto al payback?

“Il fatturato medio della mia azienda è di 4 milioni e mezzo, la richiesta del payback è invece di 3 milioni e 800 mila euro, una parte di fatturato arriva da altre regioni e precisamente Umbria e Abruzzo. La nostra azienda se fosse stata ubicata in Piemonte non avrebbe pagato il payback. Anche pagando la metà, la nostra azienda è a rischio chiusura”.

 

Perché lo sforamento della Regione Marche è tra i più alti in Italia? E’ mancato il controllo sulle spese sanitarie?

“Mentre nelle aziende private si fa la programmazione, nelle aziende pubbliche non si fa la pianificazione. In un contesto in cui avanza l’adeguamento tecnologico, si fanno più investimenti per la medicina di prevenzione, l’adeguamenti dei LEA, era chiaro che senza una accurata pianificazione, si potesse sforare. E poi c’è da considerare che la Regione Marche era classificata tra le cinque regioni benchmark, quindi non c’era un controllo serrato sui bilanci in sanità, perché la nostra regione era considerata tra le più virtuose d’Italia”.

 

Non ritiene che, nel passato, non ci sia stata una adeguata rappresentanza sindacale per le vostre aziende soprattutto a livello nazionale?  

“Stiamo cercando di correre e recuperare il tempo perduto. C’è da considerare che fino a ieri il ruolo delle PMI rispetto ai grandi gruppi, europei e americani è stato quello di utilizzarle come bancomat. Siccome nel passato le aziende pubbliche non pagavano, si utilizzavano le piccole e medie imprese e si costituivano tantissime imprese territoriali. Quando il problema fu risolto i grandi gruppi cambiarono strategie commerciali”. 

 

Nel caso in cui si vada senza la salvaguardia delle Piccole e medie imprese vi trovereste dinanzi ad un bivio: continuare con i ricorsi al TAR Lazio oppure pagare il 50% della quota payback?

“Ogni singolo imprenditore dovrà decidere per la propria azienda quale strada seguire. Come associazione abbiamo cominciato a parlare di questo argomento: intravedere quale potrà essere lo scenario. Se si opterà per il pagamento ci sarà un ulteriore indebitamento, con eventuali garanzie da siglare con gli istituti di credito. Su questa posizione i miei associati delle Marche mi hanno già detto che non potranno pagare. Perché non vorremmo indebitarci con ulteriori esposizioni. E poi ci sono da attuare quelle forme che si attuano in questi casi, quali ad esempio dichiarare la crisi d’impresa. Inserendo la posta del payback in bilancio si va verso la crisi di impresa. Quello che abbiamo fatto come regioni è quella di contestare gli importi addebitati che sono calcolati male.  Abbiamo chiesto di mettere mano a tutta la ripartizione degli addebiti e di rifare i conteggi. Noi crediamo che ci siano degli errori e questi errori potrebbero abbassare il tetto e rivedere il ripiano. E nessuno ha poi pensato a che fine farebbero i nostri dipendenti, i quali non hanno la salvaguardia in quanto dipendenti delle PMI. Nessuno ha mai pensato a loro. In 2 anni di Covid pur avendo avuto una perdita drastica, come la maggior parte delle aziende del settore specialistico, non abbiamo utilizzato né cassa integrazione né altro ammortizzatore sociale, proprio perché abbiamo preferito stringere la così detta cinghia a livello di proprietà che toccare i ns dipendenti. Nel caos generale abbiamo comunque proseguito nella collaborazione tecnica con i vari ospedali. Non chiedevamo un ringraziamento ma rispetto si!”.

 

E per i ricorsi al TAR quali speranze nutrite?

Noi siamo certi che il payback è anticostituzionale. Il migliore accordo potrebbe essere quello di pensare a dare un aiuto alle piccole e medie imprese, proponendo che c’è da fare un piccolo sacrificio in attesa che qualcuno intervenga, ma non si possono togliere i ricorsi. Non si può andare contro il diritto alla difesa delle nostre aziende”.

 

Presidente Cori, che stato d’animo sta vivendo in queste ore alla vigilia di scadenze sul payback che potrebbero determinare una   ricaduta senza via di ritorno per le PMI delle Marche?

“Sono molto più preoccupata oggi rispetto a gennaio 2023. Perché da gennaio ad oggi abbiamo avuto tantissimi contatti e non c’è un soggetto che abbia detto: non avete ragione. Anche con le risorse messe a disposizione dal Governo nel decreto bolletta, noi non ci salviamo. Ho dato per scontato, quando abbiamo aperto l’associazione a fine dicembre rivolgendomi agli associati e ho detto che qualcosa avremmo dovuto dare, relativamente al primo quadriennio (2015-2018).  Perché il governo non ha i soldi in questo momento! Forse li troveranno domani e dovremo continuare a collaborare così come abbiamo fatto fino ad oggi, quando le ASL non pagavano o mancava il personale e le nostre aziende mandavano i nostri tecnici ed esperti. Nel passato abbiamo offerto la nostra collaborazione, ma tutto ha un limite! E il limite è la non sostenibilità economica. Tutti ci danno ragione ma versiamo in questa grave crisi per le nostre imprese. Anche le proposte per la salvaguardia delle Piccole e Medie Imprese rischiano di restare sulla carta”.

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