Associazione Fornitori Ospedalieri Regione Puglia

Caos sulle ricette per gli esami «inutili». L’operazione è partita senza gli adeguamenti software. La protesta dei medici

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C’è la signora cinquantenne che si sente rifiutare la “ricetta rossa” per una risonanza magnetica alla schiena. C’è il quarantenne che non può ripetere l’esame consueto del colesterolo. C’è la giovane donna cui viene negata una mammografia di controllo su ricettario rosso, con l’indicazione di rivolgersi al privato. A pagamento. Il decreto “appropriatezza”, in vigore dal 20 gennaio con la pubblicazione in Gazzetta, sta producendo frutti amari e si intravede la possibilità di una revisione, forse utilizzando come veicolo il prossimo Dpcm sui nuovi Lea.

Per intanto, prevale il caos negli ambulatori e nelle corsie di ospedale che si traduce in costi salati per i cittadini, spiazzati da incertezze e dinieghi di medici di famiglia, pediatri e specialisti. E indotti a strapagare per uno stesso esame. Perché, ad esempio, ai test allergologici si arriva soltanto con due prescrizioni: del medico di medicina generale e dello specialista. Mentre una persona in grave sovrappeso che debba sottoporsi ad accertamenti, d’ora in poi non pagherà più i soliti 20 euro di compartecipazione (16 analisi distribuite su due ricette, 10 euro a ricetta) ma i 50 euro che corrispondono alle 5 ricette rosse su cui, secondo il decreto, andranno spalmate le analisi.

Al momento, la decisione di inserire nel mirino 203 prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale in ambito Servizio sanitario nazionale (Ssn) – individuando condizioni di erogabilità e indicazioni di appropriatezza prescrittiva – è in via di revisione. Pressata dai sindacati medici e dalle associazioni di cittadini, la ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, ha deciso di rimettere mano al decreto del 9 dicembre 2015. Che è stato ribattezzato con il suo nome (“Dm Lorenzin”), ma che è diretta derivazione del Dl Enti locali, per la parte in cui chiedeva ai camici bianchi di partecipare alla stretta sulla spesa sanitaria. Si trattava di prescrivere “meglio” e senza sprechi, pena decurtazioni sullo stipendio di dipendenti e convenzionati.

Una prima vittoria i sindacati – sulle barricate da mesi e con in programma due giornate di sciopero, il 17 e 18 marzo – l’hanno ottenuta: il 12 febbraio la ministra ha messo ufficialmente in stand-by le sanzioni, che per altro non erano mai state definite in sede di conferenza Stato-Regioni. Ma le magagne che il provvedimento porta con sé non si limitano alle multe per i “cattivi prescrittori”: a essere compromessa è l’applicazione stessa del decreto.

Manca l’aggiornamento dei software dei medici, che non contempla le “note” necessarie per applicare la norma; mancano gli adeguamenti in vista dell’entrata in vigore, a marzo, della ricetta elettronica; manca la possibilità di mettere in rete i dati tra prescrittori, Asl e ministero. Campi su cui è al lavoro Sogei, società informatica del ministero delle Finanze.

Ma intanto fioccano polemiche anche sul merito dei criteri di appropriatezza. Si è, quindi, deciso di rimettere mano a tutto l’impianto: Lorenzin, insieme a una delegazione della Federazione degli ordini dei medici (Fnomceo) e al coordinatore degli assessori alla Salute, Sergio Venturi, sta lavorando a una “circolare applicativa”, che a breve dovrebbe tamponare i gap tecnologici. Nel frattempo, c’è la promessa di manifesti negli ambulatori, per informare e rassicurare i pazienti. Anche i più fragili, a partire da cronici e invalidi.

Medici e cittadini continuano però a puntare l’indice sui criteri di scelta degli esami “incriminati” inseriti nel decreto, così come sulla confusione tra prestazioni appropriate e condizioni di erogabilità. Una “nebbia” in cui i professionisti si stanno perdendo. E al Tribunale per i diritti del malato, che ha attivato il servizio “Sos appropriatezza”, arrivano lamentele di ogni tipo. Come il caso limite di esami di laboratorio, teoricamente “mutuabili”, che il cittadino improvvisamente deve pagare da sé: per ottenere il rimborso, il privato accreditato deve infatti presentare alla Regione richieste di rimborso ineccepibili e complete. Ma con il decreto non è possibile, visto che oggi il medico prescrittore non ha la possibilità di inserire le “note” in ricetta.

È chiaro che per raddrizzare la situazione non basterà una circolare, tutta centrata sui profili tecnici e tecnologici. Andranno rivedute e corrette anche le scelte di merito inserite nel decreto, magari importando modelli già consolidati nella farmaceutica.

Il decreto sarà modificabile solo con altro atto avente forza di legge, magari, appunto, utilizzando come “traghetto” il Dpcm sui nuovi Livelli essenziali di assistenza. Ma i tempi sono lunghi e intanto i cittadini pagano. (Barbara Gobbi)

I «CAMICI BIANCHI» INCROCIANO LE BRACCIA. SCIOPERO GENERALE IL 17 E 18 MARZO

La richiesta al governo è tornare a investire sul sistema sanitario pubblico (Ssn), rilanciando così una filiera «che vale 11 punti di Pil, a partire dalla valorizzazione del suo capitale umano».

I sindacati dei camici bianchi tengono i riflettori accesi sulla “vertenza salute”. Non solo confermando le due giornate di sciopero generale fissate per il 17 e 18 marzo, ma elencando in un “Manifesto per #la buona sanità” nodi da sciogliere e obiettivi. La speranza è che il premier Renzi batta un colpo al più presto, perché l’impegno dichiarato della ministra della Salute, Beatrice Lorenzin – che assicura di voler valorizzare il comparto e le risorse umane che lo popolano – è necessario ma non sufficiente per affrontare alla radice i tanti nodi che affliggono il Ssn. Si tratta, anche, di recuperare risorse certe per aree in sofferenza come il rinnovo dei contratti, la soluzione almeno parziale del precariato, una revisione complessiva della formazione universitaria e il riordino delle cure sul territorio. Priorità per cui serve l’impegno del Mef, del ministero per la Pubblica amministrazione e del Miur. Lorenzin ha promesso che si farà promotrice con i suoi colleghi di un tavolo con i medici allargato a questi ministeri. L’inizio del dialogo metterebbe in stand-by i giorni di sciopero e potrebbe essere l’occasione per pensare a nuovi modelli di sviluppo sanitario e sociale.

L’ANALISI. SERVE IL CONFRONTO PRIMA DI DECIDERE

Roberto Turno. Pazienti spazientiti per le file e la burocrazia e preoccupati per i superticket che rischiano di far salire alle stelle la spesa per la salute che già pagano caramente di tasca propria. Medici alle prese con un armamentario tecnico ingestibile, confusi da una normativa oscura, preoccupati per le possibili sanzioni in arrivo. Corsie di ospedale che possono gonfiarsi di assistiti evitabili e di spese in più altrettanto evitabili. Questo potrebbe essere – e già in parte lo è – lo scenario di una vicenda che va risolta presto e senza tentennamenti. Senza nulla regalare agli sprechi, sia chiaro. Perché una giusta causa rischia altrimenti di tradursi in un fiasco. Il classico esempio della gattina frettolosa che fa i gattini ciechi.

Esattamente quello di cui – pur concedendo tutte le migliori intenzioni a chi ha messo a punto il provvedimento sull’appropriatezza per oltre 200 prestazioni, e anche comprendendone le difficoltà non solo tecniche – la sanità pubblica di questi tempi non ha bisogno. E che per questo avrebbe imposto di affrontare con la massima cautela, e con tutti i dubbi del caso, misure anche politicamente ad altissimo tasso di contestazione.

L’ascolto di chi sta sul campo (medici e assistiti) e la condivisione di tutti i passaggi, è sempre una mossa vincente. Sapendo bene che l’altra parte a volte non rema solo per le cure utili e per la lotta vera agli sprechi. E ricordando che c’è una “questione medica” squadernata sul tavolo del Governo e della nostra assistenza. Proteste che non sono (soltanto) una questione di buste paga, ma professionali in senso stretto. E del futuro che potrà essere per il Ssn: capirne la rotta oggi non è così facile, in quel nuovo paradigma del welfare sanitario che resta ancora un’incognita. E che comunque va spiegato con chiarezza a tutti. Ai pazienti, per primi. E agli operatori.

La manifestazione di sabato scorso a Napoli dei camici bianchi deve far riflettere. Come i due giorni consecutivi di sciopero a metà marzo. Non per farsi piegare dalla “piazza”, ma per ascoltarla. Per poi decidere. Anche perché c’è un Sud già quasi tutto in default sanitario. E questo nessuno se lo può permettere.

Il Sole 24 Ore – 23 febbraio 2016

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