Vivilasanità, Marchitelli, Presidente AFORP: Public value non è più prerogativa solo del pubblico – Leggi qui

Ruolo propositivo dei fornitori

 

Public value non è più prerogativa solo del pubblico

 

Nelle sue ultime previsioni, la Commissione europea guarda al futuro con più ottimismo.
Per l’Italia ci sono buone notizie ed elementi che invitano alla riflessione. La prima cosa positiva è che, dopo il crollo del Pil, nel 2020, a -8,9% dovremmo crescere quest’anno del 4,2% (superando la Germania che si ferma a + 3,4%) e del 4,4% nel 2022.


Ricordiamo che secondo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza nel 2026, il Pil dovrebbe ricevere una spinta aggiuntiva del +3,6%.L’altra buona notizia, è che non siamo più ultimi,  per ritmo di crescita, che è
perfettamente allineata con quella della media europea. Un bel traguardo, considerando, che, negli ultimi 20 anni, mentre noi crescevamo solo del 7,9%, il Pil in Germania aumentava del 30,2%, in Francia del 32,4% e in Spagna del 43,6%.

Due elementi su cui riflettere: nonostante questi valori di crescita nel 2022 saremo  l’unico Paese della Zona euro, che non sarà riuscito del tutto a recuperare le perdite  della Pandemia, il Pil sarà ancora 0,9 punti percentuali sotto quello pre-covid del 2019. La spinta del PNRR sarà indispensabile.
Rilanciare il Sud per far ripartire il Paese. Prende voce un nuovo refrain, mentre vediamo la luce in fondo al tunnel.

Il rilancio del Mezzogiorno non è una questione di soldi, è stato detto più volte. Se nei prossimi sette anni, l’economia delle regioni del Sud, non riuscirà a decollare per allinearsi ai ritmi di crescita del resto del Paese e più vicina alla media europea, non dipenderà dalle risorse a disposizione.

Le regioni italiane classificate come meno sviluppate: Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia,  avranno 210mld di risorse pubbliche e per oltre due terzi finanziati dall’Unione Europea, attraverso il Next Generation EU e Fondi strutturali 2021-2027, Fondo sociale (Fse) e il Fondo per lo sviluppo regionale (Fesr). Inoltre la quota della programmazione 2014-2020, che, l’Italia deve spendere entro il 2023, ammonta a 29,7mld. Tra i programmi operativi che l’Italia sta mettendo a punto ci sarà un nuovo programma per la sanità di 600mln. Determinanti sono oltre 80 miliardi che arriveranno dal PNRR, che, secondo le sei missioni in cui si articola, la salute è al n.6.

 

Un impegno e molte risorse da far tremare i polsi. Tenendo conto anche delle difficoltà delle regioni del Sud, non tutte, che non hanno ancora risolto la gestione degli investimenti pubblici, in aggiunta alla bassa capacità amministrativa, sia a livello centrale sia regionale, che impedisce di utilizzare in tempi ragionevoli le risorse disponibili. Sono chiari anche i monito: “Abbiamo imparato – dice il premier Mario Draghi – che tante risorse non portano necessariamente alla ripartenza del Mezzogiorno”. A fronte di 47,3mld di euro programmati nel Fondo per lo Sviluppo e la Coesione dal 2014 al 2020, alla fine dello scorso anno, erano stati spesi poco più di 3 miliardi, il 6,7%. Occorre un cambio di mentalità delle classi dirigenti.

 

Quindi una cosa sono le intenzioni politiche di cambiare e non ci sono grandi differenze, altra cosa le differenze che riguardano i modi di cambiare, l’ambito del cambiamento, la profondità degli interventi correttivi e il livello su cui intervenire e quindi il genere di proposte da mettere in campo. E’ necessaria la disponibilità a ripensare politiche, impostazioni, culture e organizzazioni con lo scopo di rimuovere le grandi contraddizioni che si sono accumulate nel tempo.


Autorevoli interventi mostrano che la risposta alle criticità della sanità, messe in evidenza dalla pandemia tipo: rafforzare la prevenzione e i servizi sanitari sul territorio, modernizzare e  digitalizzare il sistema sanitario e garantire equità di accesso alle cure, con un costo pari a 20,22 mld, probabilmente, non è una proposta riformatrice, ne affronta le principali criticità, facendosi carico di un processo di riorganizzazione del sistema, basato su iniziative di 40 anni fa.

Realizzare un investimento nel rispetto dei tempi e soprattutto funzionale all’evoluzione dei fabbisogni della società e dell’economia non è una questione di procurement, quanto di capacità decisionale e di esecuzione. I fondi della Next Generation EU, serviranno per migliorare il livello e la capillarità dei servizi rivolti ai cittadini, che sarebbero quindi investitori e destinatari finali degli interventi. Occorre quindi rapidità e non ci sono vie di mezzo o si evolve in qualcosa di più grande o ci si ritira in qualcosa di più piccolo.
La sinergia deve essere chiara, public value non è più prerogativa solo del pubblico.

Non si può non tener conto delle criticità della PA, rigidità amministrativa e scarsa propensione all’innovazione. Una risposta è senza dubbio partnership, aiuterebbe a pensare non in termini di processo, ma di strutture organizzative, di sistema con attenzione ai bisogni e ai risultati, ancor prima, delle procedure di selezione dei
beneficiari. La partnership identifica un ruolo propositivo dei fornitori per identificare soluzioni e assumersi la responsabilità della co-progettazione. Ponendo attenzione alla domanda, si pensa in termini di territorio e a come essere un catalizzatore. Avere la padronanza delle soluzioni con focus a breve termine, annulla singole azioni, dando importanza alla creazione di valore, con risultati di capacità di gestione rischio e sostenibilità.

Il PNRR è la leva per far invertire la rotta a un’Italia che la stagnazione ventennale prima e il Covid poi hanno impoverito, evidenziando disuguaglianze territoriali, di genere e anagrafiche. La leva, però, rischia di restare bloccata senza riforma della PA, che continua a moltiplicare i costi per gli investitori, data la complicazione delle procedure.

L’Ocse argomenta la necessità di migliorare l’efficienza della PA, rafforzare l’impatto delle riforme e potenziare la risposta del settore privato alle misure di rilancio.
Precisando gli obiettivi. Una tempistica prefissata per le procedure amministrative, che corrispondono a costi per le imprese e per i cittadini e chiare regole di responsabilità fra i livelli di governo. Sappiamo che il Ministro Brunetta concorda.

La salute non ha bisogno di riforme normative a livello costituzionale, meglio concentrarsi sul miglioramento dell’organizzazione dei servizi, che devono essere offerti in modo equo su tutto il territorio nazionale. Il Ministero della Salute può esercitare fino in fondo il suo ruolo di governo del sistema per la tutela della salute, attraverso una fattiva collaborazione con le Regioni. La sfida del futuro è quella di attivare un nuovo modello di assistenza territoriale. Quindi non è un problema di norme, ma di attuazione. Vi sono ostacoli strutturali. Determinanti saranno gli investimenti, perché solo se ci sono investimenti ci saranno riforme e si supereranno i divari tra Regioni e il famosissimo Nord/Sud.

L’Italia può giocare la sua parte con una forza che prima non aveva. E’ vero siamo un Paese con un immenso debito pubblico e un Sud da reinventare, ma siamo anche la seconda manifattura d’Europa, con capacità di resistenza alle avversità notevole. Siamo italiani e accanto ai nostri grandi difetti ci sono anche grandi pregi.


Il ruolo è residuale, possiamo restare uniti o scioglierci come neve al sole. Grandi e piccoli, pubblico e privato, l’orologio fa per tutti tic-tac.

 

Per leggere Vivilasanità edizione di Giugno 2021

 

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Periodico Vivi La Sanità