TUTTI I RISCHI DEL FEDERALISMO SANITARIO

 

LA MOBILITA’ SANITARIA – Salvatore Spatola ha 39 anni e vive a Palermo. E’ un obeso: pesa 350 kg. Per farsi curare ha dovuto ricoverarsi a Modena. Per trasportarlo sono serviti un C130 dell’Aeronautica militare e un’ambulanza speciale. Il consigliere regionale Mauro Manfredini dell’Emilia Romagna della Lega Nord non ha gradito questo trattamento: “Chi paga e quanto paga” per il ricovero, ha chiesto in un’interrogazione, preoccupato che il “costo” di questo cittadino italiano di Palermo sia stato sostenuto dal sistema sanitario dell’Emilia Romagna. Interrogazione presentata in Provincia da Luca Ghelfi del PdL.
Sembra l’ennesimo episodio di egoismo gretto ed ignorante al quale nell’Italia di oggi si finisce per fare l’abitudine. Ma il tema è serio, è un baco che potrebbe rendere l’attuazione del federalismo fiscale complessa o anche devastante per l’unità nazionale. Si tratta della mobilità tra le regioni dei cittadini alla ricerca delle cure sanitarie migliori, tecnicamente definita mobilità sanitaria e volgarmente detta “i viaggi della speranza”. Un fenomeno diffuso che nasce dal principio della libera scelta di un malato di ottenere l’assistenza sanitaria che ritiene adeguata all’interno del territorio nazionale. Un fenomeno che interessa quasi un milione di cittadini italiani all’anno, che si spostano per curarsi lontano da casa, usufruendo di strutture, medici e apparecchiature diagnostiche di altre regioni. Ma essi, come dovrebbe saper bene chi ricopre incarichi elettivi, non gravano sulla spesa sanitaria di quelle regioni. Da molti anni esiste un sistema di regole, raccolte nel Testo Unico per la compensazione interregionale della mobilità sanitaria, che prevedono un sistema di indicatori e controlli sulla appropriatezza della attività erogata, con particolare riferimento ai ricoveri. In pratica, si stabilisce il “prezzo” di una prestazione e si rileva la residenza del cittadino che ne usufruisce. E poi si manda il “conto” alla Regione di provenienza, che paga. Tutto semplice? Non proprio. 

SE IL PAZIENTE FUGGE VERSO NORD – Non sono cifre da poco: sui circa 100 miliardi di spesa sanitaria, la mobilità interregionale è un “affare” di poco meno di 3 miliardi di euro l’anno, tra crediti e debiti.In un sistema sanitario che fornisce prestazioni adeguate in modo omogeneo nel territorio, la mobilità interregionale sarebbe un fenomeno poco importante. Perché, tra crediti e debiti, le cose verrebbero più o meno a compensarsi. Ma non è così: la matrice dei flussi interregionali mostra che la mobilità è un fenomeno a senso unico. I residenti del nord si spostano meno di tutti, e se lo fanno è per andare in un’altra regione settentrionale, mentre nessun residente del nord va a curarsi a sud. Al contrario, dal Sud molti si muovono verso nord e verso il centro in cerca di cure “più adeguate”. Lo si vede anche dagli indici di attrazione e di fuga. L’indice di attrazione è il rapporto percentuale tra il numero di dimessi non residenti ed il numero totale dei dimessi nella regione. L’indice di fuga, al contrario, è il rapporto percentuale fra il numero dei residenti dimessi fuori regione ed il numero totale dei residenti dimessi ovunque. Il primo mostra la capacità di una regione di attirare pazienti residenti altrove, l’altro di stimare la propensione della popolazione ad allontanarsi dal luogo di residenza per poter usufruire delle prestazioni sanitarie richieste.

UNA QUESTIONE DI SOLDI – Un’analisi recente del Ministero della Salute evidenzia che l’indice di fuga è alto in diverse regioni del sud (Basilicata, 21,6%, Calabria 15%) e basso nel Nord (Lombardia 4%, Veneto 5,8%). L’Indice di attrazione, viceversa, è alto soprattutto nelle regioni settentrionali (Lombardia 8,7%, Liguria 10,3%) e basso soprattutto a Sud (Campania 2,1%, Puglia 3,3%). In alcune regioni la mobilità attiva e passiva si compensano, ad esempio l’Umbria, che ha un alto indice di fuga (12,4%) ma un più alto indice di attrazione (15,4%). Ma il problema finanziario si ha quando i “crediti” vantati verso altre regioni sono bassi, e i “debiti” da pagare al resto d’Italia sono tanti. Un recente rapporto presentato alla Commissione Sanità della Camera dei Deputati mostra i saldi interregionali. La Lombardia ha un saldo attivo di 422 milioni di euro. L’Emilia Romagna di 289 milioni di euro, il Veneto di 118 milioni di euro, la Toscana di 103. La Campania ha un saldo passivo di 269 milioni di euro, la Calabria di 211, la Sicilia di 196, la Puglia di 173. Nel centro nord, solo Marche, Liguria e Piemonte hanno saldi passivi, se pur modesti. Nel sud, solo Abruzzo e Molise hanno dei piccoli saldi attivi.