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«La mobilità passiva contiene al suo interno un dato incorreggibile. Abbiamo una percentuale di cittadini pugliesi che mantiene la residenza in Puglia, pur vivendo prevalentemente in Lombardia, Piemonte Emilia Romagna e Toscana. Questo per noi rappresenta un costo: ci troviamo purtroppo a finanziare il sistema sanitario del Nord Italia»: |
Il fenomeno è stato studiato dall’Agenzia regionale sanitaria pugliese (Ares) negli anni scorsi. E attraverso quello studio è stato possibile evidenziare che vi è mobilità passiva per tutte le branche specialistiche, ad eccezione dell’ostetricia. Le donne pugliesi che devono partorire, quando è possibile preferiscono tornare casa, dove trovano una rete di assistenza familiare post parto molto ramificata, che al Nord non potrebbero avere.
La mobilità passiva a volte è conseguenza della presenza in grandi ospedali del Nord di specialisti pugliesi molti bravi che hanno studiato al fuori regione (e fuori regione hanno deciso di esercitare la professione ma svolgendo attività libero professionale anche in Puglia, dove risiede la famiglia di origine) oppure di professionisti che bloccati nella loro carriera in Puglia (a causa di un sistema di reclutamento non sempre legato al merito) hanno deciso di emigrare al Nord. Anche in questo caso, i professionisti che sono emigrati al Nord convogliano verso la loro nuova sede di lavoro i clienti pugliesi. Il fenomeno è molto forte nel settore della cardiologia e della cardiochirurgia.
Il costo della mobilità passiva è una piaga alla quale non può sottrarsi nessuno schieramento politico. E infatti in Regione su tutto si polemizza fuorchè sulla mobilità passiva. La serie storica dei costi che la Regione Puglia ha sopportato per far fronte a questa situazione non si presta davvero alla polemica di parte. Dal 2001 al 2006 la spesa per la mobilità passiva è crescita senza soluzione di continuità: da 179 milioni di euro circa del 2001 (secondo anno di governo del presidente Raffaele Fitto) ai 232 milioni del 2006 (secondo anno di governo del presidente Nichi Vendola).
La riforma della sanità varata da Fitto (tra il 2003 e il 2004) non ha bloccato certamente la mobilità passiva. Semmai l’ha incrementata. Anche Vendola ha potuto verificare la impossibilità di contenere il costo di questa voce. Almeno sino al 2007, quando vi è stata una piccola inversione di tendenza con un risparmio di 4 milioni di euro sia in quell’anno che nel 2008. E infatti lo stesso Vendola dinanzi alla Commissine senatoriale ha rivendicato con orgoglio il fatto che «a metà della scorsa legislatura abbiamo potuto registrare un calo del 3,5 per cento all’anno sui costi della mobilità passiva dopo tanti anni di crescita esponenziale». Un segnale positivo, ma per ora solo un segnale.
Il disavanzo della sanità che la Puglia è obbligata a coprire dal ministero dell’Economia (e che la Puglia ha coperto con tasse regionali aggiuntive, aumento dell’accisa sulla benzina e con fondi del bilancio ordinario) negli ultimi anni si è attestato tra i 200 e i 350 milioni di euro. Un disavanzo che non si discosta di molto dal costo della mobilità passiva. Dal che emerge che la riduzione (sino al potenziale annullamento della mobilità passiva) potrebbe in qualche modo essere un ulteriore elemento con cui dare equilibrio ai conti della sanità.
Con il piano di rientro triennale imposto dal governo la Puglia sta definendo tagli ai posti letto, ai piccoli ospedali, alla spesa farmaceutica da tempo fuori controllo (solo la Sardegna ha uno sforamento sulla spesa farmaceutica peggiore della Puglia tra le Regioni italiane). Ma solo quando i tagli alla mobilità passiva saranno davvero consistenti e la voce tenderà verso l’azzeramento, sarà possibile avere una sanità pugliese con i conti in equilibrio.
FONTE: NUOVO QUOTIDIANO di Oronzo MARTUCCI