Gare, la mancanza di fiducia nel concorrente può giustificarne l’esclusione

L’operatore economico che ha dimostrato imperizia in un precedente rapporto contrattuale con la stazione appaltante, ledendo la fiducia di questa nella sua capacità professionale, va escluso dalla gara, in quanto l’elemento fiduciario è la base indefettibile dei rapporti contrattuali tra privati e pubblica amministrazione. Lo conferma il Consiglio di Stato nella decisione n. 5299/2015.

Requisiti professionali
L’articolo 38 del Dlgs 163/2006 ha fissato requisiti di moralità professionale per impedire che soggetti professionalmente inaffidabili stipulino contratti con le amministrazioni pubbliche.
Proprio per questo le cause di esclusione, disciplinate in modo tassativo, hanno importanza non solo per la partecipazione alla gara, ma anche per la stipula del contratto e del subappalto. Va pronunciata la decadenza dall’aggiudicazione, pertanto, quando l’aggiudicatario, inizialmente in possesso del requisito, lo perda prima della stipula del contratto (Consiglio di Stato, sentenza n. 2928/2015).
Al fine dell’esclusione, in particolare, in base al comma 1, lettera f), dell’articolo 38, hanno rilevanza la grave negligenza o la malafede nell’esecuzione delle prestazioni, affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara. Occorre una motivata valutazione da parte di quest’ultima e non si tratta di una misura sanzionatoria.
L’affidabilità
Come confermato dalla giurisprudenza tali fattispecie, che valorizzano la fase dell’esecuzione contrattuale e non quella delle trattative, sono elementi sintomatici della perdita del requisito di affidabilità e di capacità professionale a fornire prestazioni, che soddisfino gli interessi di rilievo pubblico perseguiti dal committente (Consiglio di Stato, sentenza n. 2589/2015).
Va considerata, invero, la violazione dei doveri professionali, nei quali sono ricompresi la negligenza, l’errore, la malafede, qualificabili come gravi. Qualsiasi mezzo di prova può essere utile per accertare la responsabilità; non occorre riscontrare quella del contraente per l’inadempimento in relazione a un precedente rapporto contrattuale, quale sarebbe richiesto per l’esercizio di un potere sanzionatorio (Consiglio di Stato n. 943/2015 e n. 4512/2015).
Secondo il Consiglio di Stato non conta che i fatti valutati dall’amministrazione siano oggetto di indagine penale, poi conclusasi con l’assoluzione per insussistenza del fatto, e non di pronuncia passata in giudicato, come nel caso previsto dall’articolo 38, comma 1, lettera c) del Dllgs 163/2006. Basta che gli stessi, seppure con connotazione penale, denotino un grave errore professionale.
Precedenti
In un’analoga decisione (28 settembre 2015 n. 4502) la quinta sezione del Consiglio di Stato aveva ritenuto che è sufficiente la valutazione fatta dalla stessa amministrazione. Il giudice amministrativo non può rivalutare nel merito i fatti già vagliati, ma deve limitarsi a un controllo esterno, al solo scopo di accertare la mera pretestuosità del giudizio di inaffidabilità dell’impresa.
La giurisprudenza consolidata è ormai concorde nell’evidenziare come la stazione appaltante non possa emetere un giudizio automatico, ma debba motivare sul disvalore imputabile al comportamento tenuto nello svolgimento delle precedenti prestazioni, che possa qualificarsi come evento interruttivo dell’intuitu fiduciae.
L’apprezzamento discrezionale, sulla individuazione del “punto di rottura dell’affidamento” nel pregresso o futuro contraente, è soggetto al sindacato del giudice amministrativo soltanto per manifesta illogicità, irrazionalità o errore sui fatti.