DALLA PUGLIA AL TRENTINO LA MALASANITA’ TORNA AD ALLARMARE

 

 Dalla Puglia al Trentino, dalla Lombardia alla Sicilia, la malasanità torna ad allarmare. I due neonati morti a Foggia, l’infarto al pronto soccorso di Pisa o le tragedie ospedaliere in Calabria sono vissute non come drammatiche eccezioni, ma come sintomi di un male cronico, che si riacutizza ciclicamente.

Dalla Puglia al Trentino, dalla Lombardia alla Sicilia, la malasanità torna ad allarmare. I due neonati morti a Foggia, l’infarto al pronto soccorso di Pisa o le tragedie ospedaliere in Calabria sono vissute non come drammatiche eccezioni, ma come sintomi di un male cronico, che si riacutizza ciclicamente.

Allora, come in un copione da anni immutato, i familiari delle vittime invocano condanne esemplari, le associazioni denunciano altri orrori ospedalieri, i ministri promettono riforme, l’opposizione accusa, i pm indagano, i medici si sentono perseguitati. Ma quando il dolore e la rabbia vengono dimenticati, si torna al punto di partenza: nessuna diagnosi, nessuna cura. Sulla carta lo Stato continua a minacciare di punire i responsabili con l’arma estrema del carcere. Ma perfino a Milano i pm riconoscono che per le colpe mediche, di fatto, in prigione non ci finisce nessuno. Mentre le autorità sanitarie non sanno rispondere neppure alla domanda più elementare: quanti italiani muoiono ogni anno di malasanità?

“Molti sedicenti tecnici e quasi tutti i politici ci criminalizzano sparando cifre gonfiate”, tuona il chirurgo ortopedico Maurizio Maggiorotti, presidente dell’associazione Amami, nata sette anni fa per difendere i dottori accusati ingiustamente, che oggi dichiara ben 35 mila aderenti. “Parlare di 30 o di 90 morti al giorno è un’assurdità scientifica. I dati delle assicurazioni riguardano indistintamente tutti i sinistri. E il tribunale del malato classifica qualsiasi lamentela dei pazienti, anche infondata. Mentre le vere denunce giudiziarie vengono archiviate nell’80 per cento dei casi. La verità è che i medici italiani sbagliano poco. Quanto, nessuno può dirlo: la nostra proposta di un osservatorio nazionale sui processi, lanciata nel 2002, è rimasta lettera morta”.

Per trovare dati accettabili anche dai medici che si sentono messi alla gogna, si può partire dai cosiddetti ‘eventi-sentinella’: infortuni “potenzialmente evitabili, che provocano la morte o gravi danni” ai pazienti. È un “monitoraggio amministrativo” che raccoglie segnalazioni non sospettabili di accanimento, perché fornite dagli stessi ospedali “in via confidenziale”, senza nomi: l’obiettivo è solo risolvere il problema. Ebbene, tra settembre 2005 e agosto 2009 le strutture sanitarie hanno segnalato al ministero 385 ‘eventi -sentinella’, con 211 casi di morte dei pazienti. Le specialità più a rischio sono ostetricia (14,8 per cento), chirurgia generale (13,3) e medicina generale (12,2), seguite da ortopedia (8,8) e psichiatria (6,8). Il ministero della Salute avverte che i dati sono parziali: molti ospedali non rispondono, soprattutto al Sud. E in un’altra rilevazione nazionale si legge che, delle 393 strutture sanitarie interrogate nel settembre 2006, solo 91 hanno attivato la prescritta ‘Unità di gestione del rischio clinico’. In Calabria, Sardegna, Campania e Sicilia una clinica su due non ha neppure risposto al ministero.

Solo alcune regioni hanno avviato un censimento delle denunce sanitarie. Nel decennio 1999-2008 la Lombardia ha registrato oltre 20 mila richieste di risarcimento: circa 2 mila all’anno, con un tetto di 2.160 nel 2008. Rapportando questa cifra alla popolazione italiana, ne deriva una stima credibile di oltre 12 mila cause intentate ogni anno contro medici e ospedali. Stando alle denunce dei pazienti lombardi, i problemi più gravi sono gli errori chirurgici (24,3 per cento) e diagnostici (19,1). Mentre tra gli eventi-sentinella, segnalati dagli ospedali, la prima emergenza è il suicidio anche solo tentato dal malato (88 casi, il 22,9 per cento del totale): se il paziente cerca di ammazzarsi, insomma, anche il dirigente sanitario più ottuso o lottizzato riconosce che forse c’è qualche problema.

Sul numero di vittime, l’unico dato ufficiale risale allo studio dell’Istat sulle “cause di morte in Italia”. Il rapporto riguarda il 2002, ma la mortalità complessiva è rimasta stabile fino al 2008, per cui si può ricavarne una credibile tendenza annua. Qui, in una piccola nota, l’Istat spiega che nelle certificazioni mediche sono stati registrati solo 2 decessi per “danni dovuti a cure” e altri 11 per “effetti nocivi di terapie farmacologiche”. A questi però si aggiungono 345 morti per “reazioni anomale a interventi medici e chirurgici” e altri 138 per “avvelenamenti da farmaci”. In totale, fanno 496 vittime per cause sanitarie (colpevoli o meno): tre morti ogni due giorni. Anche ammettendo che i reati veri siano solo un quinto di quelli denunciati, resta da chiedersi: qualcuno ha pagato? (FONTE:L’ESPRESSO)