SPECIALE PAYBACK – VIVILASANITÀ – INTERVENTO DI NICOLA DENTAMARO – AVVOCATO AMMINISTRATIVISTA – APPARE INDISCUTIBILMENTE INGIUSTO

27Vivilasanità – Intervento di Nicola Dentamaro – Avvocato Amministrativista

 

 

Dopo l’approvazione del Decreto Aiuti bis

 

Payback sui dispositivi medici: la palla alle regioni

 

 

 

di Nicola Dentamaro

Avvocato Amministrativista

 

 

 

Il payback sui dispositivi medici è un meccanismo introdotto in Italia con D.L. 78/2015, sulla falsariga del payback farmaceutico, che ha previsto, in caso di sforamento dei tetti di spesa regionali, dichiarato con decreto del Ministro della salute, la restituzione da parte delle aziende fornitrici di una quota del proprio fatturato in misura pari all’incidenza percentuale di quest’ultimo (il fatturato) sul totale della spesa per acquisto di dispositivi medici sostenuta nell’anno dal Servizio sanitario regionale; meccanismo, fino ad oggi, non attivato.

 

Se pur con la finalità, in astratto condivisibile, di contenere la spesa pubblica in ambito sanitario, lo strumento, ove attuato in concreto, appare indiscutibilmente ingiusto – ancor prima che illegittimo – nei confronti di imprese che, oltre a dover limitare al massimo i propri margini di guadagno per essere competitive nelle gare e quindi poter accedere ad una fornitura pubblica, sono obbligate, in caso di aggiudicazione, a completare comunque la fornitura esponendosi al rischio di vedersi poi addossare parte degli sforamenti dei tetti di spesa, causati esclusivamente dall’Amministrazione pubblica.

 

In altre parole, prendendo il caso degli enti regionali, se la P.A. supera il tetto di spesa per acquisto di dispositivi medici, le imprese private, che non svolgono alcun ruolo attivo nella gestione delle risorse pubbliche, devono rimborsare pro quota tale esubero.

Una simile previsione è tanto paradossale quanto preoccupante, specialmente per le PMI pugliesi operanti nel settore sanitario, alla luce dei dati relativi agli sforamenti della Regione Puglia negli anni 2015-2020: 390 milioni di euro circa, che le imprese fornitrici saranno costrette a rimborsare (terzo valore più alto in tutta Italia dopo Toscana e Veneto)[1].

 

Se i numeri generano la preoccupazione, tradotta in difficoltà oggettive a restituire somme così ingenti, per di più relative ad esercizi così lontani nel tempo, il paradosso consiste nell’aver previsto un meccanismo analogo al payback farmaceutico, senza considerare in primis che il mondo dei fornitori di dispositivi medici è composto da migliaia di piccole realtà aziendali locali, e non da colossi quali quelli dell’industria farmaceutica e soprattutto, che l’accesso alle forniture sanitarie è già mediato da una gara ad evidenza pubblica, preordinata proprio alla finalità di contenimento della spesa pubblica.

 

Differentemente, il prezzo dei farmaci non deriva dall’espletamento di un confronto competitivo tra fornitori, bensì è negoziato dall’AIFA direttamente con le aziende farmaceutiche, così come previsto dal Decreto del Ministero della Salute 2 agosto 2019.

Fortunatamente, il payback in questi anni non ha mai prodotto effetti, in quanto non sono  mai stati emanati gli atti attuativi previsti dal D.L. 78/2015.

 

Tuttavia, con il D.L. n. 115/2022, a questo punto impropriamente definito “Aiuti bis”, la “palla” è passata alle regioni che, con proprio provvedimento da adottare entro novanta giorni dalla data di pubblicazione del predetto decreto legge, dovrebbero definire l’elenco delle aziende fornitrici soggette al ripiano per ciascun anno, previa verifica della documentazione contabile anche tramite gli enti del servizio sanitario regionale.

In sostanza, lo stesso Ente che ha cagionato il superamento del tetto di spesa regionale per l’acquisto di dispositivi medici, determinerà quanto i fornitori dovranno restituire, riversando su quest’ultimi la responsabilità e le conseguenze di una gestione non in linea con i tetti di spesa fissati a monte, coperti dalla finalità pubblicistica di razionalizzare la spesa sanitaria.

Ciò che, solo in piccola parte, rincuora è il meccanismo, ormai in uso da diversi anni, con cui vengono forniti alcune tipologie di dispositivi medici (in particolare i dispositivi tecnologici), ossia quello del noleggio o “service”.

Difatti, il D.L. 78/2015 parla di “superamento del tetto di spesa a livello nazionale e regionale di cui al comma 1, lettera b), per l’acquisto di dispositivi medici”, pertanto è auspicabile che dall’applicazione della norma contestata, siano escluse tutte quelle forniture che prevedono modalità alternative all’acquisto.

Per una completa informazione è anche il caso di precisare che i dispositivi medici forniti ad aziende private accreditate (e non) non sono comprese nei tetti di spesa, così come chiarito negli accordi in sede di Conferenza Stato-Regioni.

In ultimo, è appena il caso di segnalare che lo stesso D.L. 78/2015, all’ultimo periodo dell’art. 9 ter co. 8, ha previsto una modalità di fatturazione che tenga separato il costo del bene dal costo del servizio, proprio perché solo il primo concorre alla formazione dei tetti di spesa.

Tuttavia, non sempre le aziende sanitarie, nella predisposizione dei documenti di gara, si sono attenute scrupolosamente alla predetta distinzione, generando così una oggettiva difficoltà a distinguere oggi i valori corretti da computare nel tetto di spesa per l’acquisto di dispositivi medici.

A questo punto, non resta che attendere gli atti applicativi delle singole regioni per procedere all’immediata impugnazione degli stessi dinanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali, in uno alla richiesta di rinvio alla Corte Costituzionale per il vaglio di legittimità della norma sin qui illustrata che, ormai sette anni fa, ha introdotto il payback a carico delle aziende fornitrici di dispositivi medici.

Da ultimo, è opportuno segnalare che – come noto agli operatori del settore – il tema della fissazione di tetti di spesa in via retroattiva da parte di enti pubblici sanitari è stato già oggetto di pluridecennali contenziosi amministrativi, seppur nella diversa fattispecie dell’assegnazione ex post, anche a fine d’anno, dei budget di prestazioni sanitarie erogabili da aziende private accreditate con il SSR,se mai anche in diminuzione rispetto ai parametri di riferimento costituiti dagli ammontari concessi negli anni passati, a discapito di servizi già erogati dai privati ai cittadini .

E’ evidente, già da quanto esposto, che le due situazioni, il payback e il taglio al tetto delle accreditate, non sono del tutto assimilabili, posto che nel secondo caso siamo in una situazione di “quasi mercato”, in cui le aziende eroganti, benché private, operano comunque in un regime di concessione, mentre nel caso che interessa in questa sede siamo evidentemente in regime di libera iniziativa privata tout court, per cui – anche alla luce di quello che si dirà – le maglie per l’Amministrazione dovrebbero essere più strette.

Venendo ai principi enucleati dal Consiglio di Stato in tema, si segnala – da ultimo – Consiglio di Stato, Sez. III, sent. del 7 dicembre 2021, n. 8161, che, nel confermare il filone maggioritario della giustizia amministrativa, secondo cui la fissazione di tetti retroattivi di spesa è in astratto consentita (Cons. Stato, A.p. n. 3/2012), ha affermato che nondimeno “l’esercizio del potere non è sottratto al sindacato del giudice amministrativo”.

Più nel dettaglio, sulla scorta della possibilità per il g.a. di verificare in concreto la legittimità dell’esercizio della discrezionalità amministrativa, il Consiglio di Stato ha annullato un tetto di spesa, fissato nello specifico da Regione Basilicata in maniera irrazionale, atteso che tale Ente aveva utilizzato il criterio della media della produzione nel triennio precedente all’anno di riferimento; ma quel parametro è stato ritenuto appunto ingiusto, in quanto quella produzione era stata condizionata da precedenti delibere di definizione dei criteri di ripartizione del tetto, successivamente annullati dal giudice di primo grado.

 

Pertanto, anche alla luce di quanto elaborato dai giudici amministrativi per il settore del “para privato”, sembra esserci più di una “freccia all’arco” degli operatori del settore di che trattasi per non assistere inermi al payback sui dispositivi medici.

[1] Elaborazioni FIFO Sanità su dati Corte Conti (2020, 2021) e Accordi Stato-Regioni 2019