Associazione Fornitori Ospedalieri Regione Puglia

Meno lavoro e più sacrifici nel futuro: i giovani pagano doppio la crisi

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(La Stampa) – Nel 2060 si passerà da 4 lavoratori per pensionato a 2. Emerge dal rapporto della Commissione Ue sugli sviluppi occupazionali, dedicato alle differenze generazionali.

 

I giovani sono quelli che pagano doppio la crisi: a loro sono state negate opportunità di lavoro per le condizioni negative, e sempre a loro verranno chiesti sacrifici di qui in avanti. Già adesso i trentenni con un impiego guadagnano molto meno dei colleghi over 60 (il 60% in meno, in media), e sono coloro che a queste condizioni dovranno pagare e pagarsi le pensioni. Per l’avvenire le cose rischiano di peggiorare ancora. E’ questo in estrema sintesi il problema di fondo dell’Europa, come messo in luce dal rapporto annuale sugli sviluppi dell’occupazione in Europa e dedicato proprio agli squilibri generazionali. Il rapporto mette in luce la necessità di fare i conti con un problema reale, perchè a guardar bene i conti non tornano.

 

Dieci milioni di posti di lavoro in più tra il 2013 e il 2016, un tasso occupazionale (71,1%) più alto anche di quello che c’era prima della crisi, e 4,8 milioni di cittadini potenzialmente a rischio esclusione sociale tolti da una situazione di vulnerabilità. Buone notizie per l’Europa, almeno a giudicare dai numeri. Le cifre mostrano un’economia in ripartenza, e magari qualcuno vede la crisi definitivamente alla spalle. Peccato che non sia così, perché ce n’è una nuova, tutta sociale, che rischia di scoppiare a breve. L’economia riparte, certo, ma a spese dei più piovani e la cosa preoccupa Bruxelles. «Lasciare indietro i giovani significa mettere a rischio il nostro futuro, i nostri valori», avverte il commissario responsabile per l’Occupazione, Marianne Thyssen, che promette di fare pressioni sugli Stati, responsabile per le riforme del lavoro, attraverso le raccomandazioni specifiche per Paese.

 

L’Europa non a misura di giovani

Nel primo trimestre del 2017 si registrano 234,2 milioni di persone erano occupate in tutto il territorio dell’Ue, quasi 10 in più rispetto al 2013. Buone notizie? Fino a un certo punto. Le generazioni più giovani di oggi affrontano sfide significative sul mercato del lavoro che riflettono sia i cambiamenti strutturali, che l’importanza crescente delle forme atipiche di occupazione e dell’eredità della crisi, rileva il documento. Ancora, i lavoratori più anziani che «ritardano la loro pensione» e questo è un ulteriore ostacolo per i giovani. E dopo sarà ancora più dura. Le stime della Commissione indicano che da qui al 2060 la popolazione in età da lavoro diminuirà sensibilmente, passando da quattro lavoratori per ogni pensionato a due. Vuol dire che meno gente pagherà le pensioni, chiamando a sforzi terribili chi lo dovrà fare. «L’evoluzione tecnologica – rileva Thyssen – ha aperto opportunità senza precedenti ma allo stesso tempo cambia il modo di lavoro e le carriere hanno meno stabilità». Se a questo si aggiunge l’aumento di contratti atipici, non c’è dubbio che «c’è il doppio onere sui giovani», chiamati a pagare il prezzo della crisi e l’evoluzione del mercato del lavoro.

 

Rischio generazione perduta

Ci sono i giovani tra i 15 e i 24 anni che si perdono. Sono fuori da tutto, dal lavoro, dall’istruzione e dalla formazione. Si chiamano Neet, e in Europa sono il 11,5% della fascia di popolazione della loro età. Governi nazionali e istituzioni comunitarie fanno fatica ad individuarli, e assorbirli risulta impossibile. Ma non sono gli unici a rappresentare la generazione perduta. Complessivamente, rileva lo studio, «nella maggioranza degli Stati membri» i lavoratori più giovani con contratti non standard sono «considerevolmente più a rischio precarietà». L’attuale situazione, per chi lavora, è tale che «le persone devono rinviare le decisioni importanti di vita: farsi una famiglia, diventare indipendenti, acquistare una casa», lamenta Thyssen.

 

Ci salvano i migranti. Forse

La situazione in prospettiva è anche più preoccupante, perché l’invecchiamento della popolazione farà sì che ci saranno meno lavoratori a disposizione. In base al rapporto «senza alcuna migrazione nell’Ue da qui in avanti, il declino della popolazione in età da lavoro sarà anche peggiore» del previsto, e «solo un’immigrazione netta più alta potrà permettere la ripresa della crescita della popolazione in età lavorativa nel medio termine». Insomma, nell’Europa che si chiude di fronte all’immigrazione, questa diventa al momento la sola risposta credibile al problema. Nell’attesa di politiche nazionali.

 

Italia più in difficoltà

Particolarmente complicata la situazione in Italia. Se nell’Ue il lavoro autonomo è passato da meno dell’8% dell’occupazione totale in Danimarca, questo «è a oltre del 20% in Italia e in Grecia nel 2016» (22,6% e 30,2% rispettivamente). Lavorativamente parlando l’Italia è abitata dal popolo delle partite Iva, e il rapporto lo certifica una volta di più. A questo si aggiungono quanti hanno un contratto atipico (oltre il 15% di chi ha un contratto). Ancora, se il tasso di disoccupazione giovanile nell’Ue è al 18,7% tra i cittadini Ue di età compresa tra i 15 e i 24 anni, in Italia l’indice tocca quota 37,8%, il terzo più alto dopo quelli di Grecia (47,3%) e Spagna (44,4%). Quello tricolore è anche il Paese con i più sfiduciati di giovani sfiduciati: il tasso di Neet è al 19,9%, il primo d’Europa. Non solo. Se praticamente tutti gli Stati membri dell’Ue hanno visto un miglioramento degli standard di vita tra il 2015 e il 2016, «solo Estonia, Italia e Romania hanno conosciuto un deterioramento». Se l’Europa non è misura di giovani, l’Italia sembra esserlo ancora meno.

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